Archivio della categoria: Cultura del Gioiello

La democratizzazione del gioiello

signette

Viene qui riportata la pagina, risalente agli anni Sessanta, di una Signet, la newsletter informativa inviata dall’azienda alle Fashion Show Director – che si occupavano di vendere a domicilio i bijoux firmati Sarah Coventry – nella quale vengono spiegate le diverse possibilità di utilizzo dei gioielli commercializzati

Negli anni ’50 s’incrementa la vendita dei bijoux nei grandi magazzini a prezzi concorrenziali ma quella che letteralmente spopola è la moda degli home party, lanciata nel 1949 dalla Emmons, che 2 anni dopo prenderà il nome Sarah Coventry.

In 20 anni verranno venduti più di 100.000.000 pezzi, grazie anche alle dimostratrici che, creando un momento di socializzazione direttamente nelle case delle clienti, porteranno la donna a diventare fondamentale in ogni fase della collocazione del prodotto sul mercato.

Tutti gli eventi rilevanti, ad esempio il primo lancio spaziale, offrono spunti ai produttori di bijoux e la plastica farà da regina in questo periodo.

Anche in Italia il bijou di fantasia inizierà a fare il suo ingresso, visto soprattutto come oggetto di lusso in correlazione con l’alta moda; sarà infatti questo il motivo, più che la maggiore autonomia sociale ed economica della donna, a far sì che i gioielli di fantasia non vengano più considerati semplici “falsi”, sicché anche in Italia si comincerà a superare il borghese mito dell’oro.

Siamo giunti agli anni ’60 il decennio dei grandi cambiamenti, della pillola e della minigonna, del baby doll e dell’unisex in cui gli abiti da uomo e da donna sono molto simili tra loro; è il decennio dei Beatles e della Pop Art di  Andy Warhol che dedicherà nelle sue opere molto spazio al concetto e al valore di “falso”; molti artisti oltre a Warhol – ad esempio Dalì –  si cimenteranno nella creazione dell’arte in forma di gioiello e l’ultimo dei grandi disegnatori di bijoux americani, Kenneth Jay Lane sarà negli anni ’70 incoronato re indiscusso di quei multipli che la Pop Art aveva insegnato a considerare non solo una ripetizione dello stesso soggetto, ma un modo per far arrivare l’idea dell’artista al maggior numero di persone possibile.

KJL il re del falso

Kenneth Jay Lane, il Re del Falso

Nel decennio seguente, gli anni ’70, saranno invece predominanti il richiamo ad una vita più semplice, gli abiti in spandex, i simboli della pace e l’attrazione per l’oriente.

In questo periodo l’industria del gioiello vede un calo di produzione. Cosi come nel periodo della crisi economica degli anni ’40 I bijoux non sono visti di buon occhio ad eccezione degli orecchini molto grandi e dei pendenti con simboli naturali. I temi ricorrenti negli accessori sono principalmente tre e si sono sostanzialmente susseguiti cronologicamente: gli elementi di richiamo alla cultura indiana, soprattutto a cavallo degli anni ’60 e ‘70, i motivi floreali, presenti in tutta la moda dell’epoca, arrivatici direttamente dai movimenti hippy della flower power e le linee geometriche. I materiali utilizzati sono poveri oltre che intrinsecamente anche nell’aspetto: fili metallici intrecciati tra loro, stoffa, perline e piccoli ciondoli in materiali plastici vanno a creare lunghe collane, bracciali indossati indistintamente da uomini e donne, grandi ed appariscenti orecchini.

La cantante Madonna

L’artista Madonna, icona della moda anni ’80

Nei primi anni ‘80 è influente lo strascico del fenomeno punk nato alla fine degli anni ’70. E’ il periodo dell’esagerazione, dei grandi gioielli vistosi, dei tessuti laminati e della voglia di mostrare opulenza a tutti i costi, è il periodo dei colori sgargianti, come il fucsia, il giallo e il blu elettrico, del trucco vistoso.

Si dice che negli anni ’80 il gioiello abbia perso la qualità nel design e nei materiali rispetto ai decenni precedenti… e tu che ne pensi? Provi nostalgia per la moda degli anni Ottanta o per te è solo un terribile ricordo? 🙂

Raccontami il tuo “sentimento” per questo decennio!

E.Z.

 

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Speciale Tarì bijoux. Ecco le 4 tendenze del gioiello fashion in anteprima.

Curiosi di scoprire le tentenze del bijou per il 2014? Allora non potete mancare alla seconda edizione di Tarì Bijoux, che che si svolgerà oggi 17 e domani 18 Marzo, presso lo spazio espositivo del Tarì.

E’ all’interno di questo evento che Il Tarì  Design Lab presenterà i 4 MacroTrends del gioiello per il 2014. Eccole qui in anteprima per voi:

  1. Bijoux dal gusto retrò. I bijoux del 2014 compiono un salto nel passato, sfogliando le pagine della storia,  carpendo e rivisitando forme ed ideologie classiche. Gioielli sigillo, segno distintivo dell’appartenenza ad un gruppo; cammei che coniugano la classicità della materia all’innovazione delle forme e dei colori; merletti romantici  impreziositi da pietre. Bijoux dedicati ad una Donna sofisticata, amante del  sapere, affascinata dal misticismo e sensibile ai temi della Fede, della Storia e del Classicismo.
  2. Il Bijou capolavoro. Attraverso materiali, forme e colori, questo è il Trend che permette  alla Donna di indossare i gioielli da Sogno, con budget contenuti. Minuziosità,  artigianalità e cura dei dettagli rendono questi Bijoux dei veri  capolavori.
  3. Colore senza limiti. E’ questo il trend più audace. Il bijou fashion che punta ai “perfetti contrasti” attraverso l’esaltazione delle gamme cromatiche e il  mixaggio di materiali innovativi. Progettato per chi non ha timore di stupire.
  4. Bijoux  eco-sostenibili. Bijoux ecofriendly, realizzati con materiali naturali, ispirati al mondo della Natura  nelle sue molteplici forme e colori. Dedicato alla donna sognatrice, romantica,  intimista. Impegnata nel sociale, la Donna che ama questo trend è fedele  alle tradizioni ma attenta alle forme dell’estetica contemporanea. Ama il  classico ma solo ed esclusivamente nella sua visione  contemporanea.

Qui vi propongo una mia selezione dei brand che potrete trovare oggi e domani al Tarì Bijoux.

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Collezione Kimono di Lebole Gioielli

Se amate i gioielli originali, i pezzi unici con un fascino esotico, allora vi propongo la collezione Kimono di Lebole Gioielli, ciondoli ed orecchini realizzati con parti di tessuto dei kimono di seta giapponesi, arricchiti da pietre di colore in nuance con i motivi dominanti del gioiello.

collana cuore
Collana a Cuore di Paviè Bijoux

Come me adorate le resine e le plastiche colorate? Siete attratte dal simbolo più romantico di sempre: il Cuore? I gioielli della nuova collezione di Paviè Bijoux sono il mio consiglio per rendere più femminile il vostro outfit. Questa Collana a Cuore, realizzata con un grande ciondolo rosso in resina intagliata, è particolare anche nella catena galvanizzata in oro… si vedete bene, le maglie della catena sono in realtà dei piccoli cuori!

925byAucella
Bracciali 925byAucella

Vi intriga invece il gusto retrò di incisioni e cammei? Allora anche voi rimarrete affascinati dalla collezione Paint Your Life di 925byAucella, marchio di Torre del Greco che dal 1930 realizza gioielli con cammei e coralli. In questa nuova proposta rivisita il classico, montando il cammeo (anch’esso reinterpretato nei soggetti) su strutture in argento 925 e su coloratissimi bracciali bangle in pelle colorata. Se amate questo stile non potrete non rimanerne catturati.

E ora ditemi, quale tra questi è il vostro trend preferito?

 

E.Z.

 

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E’ Natale che albero! L’intervista di Collezionare.

E’ Natale, quindi perchè non condividere con voi questa intervista fattami dalla giornalista Domizia Dalia del mensile Collezionare?

Nell’intervista si parla di spille a forma di albero di Natale… buona lettura!

Erika

 

Tratto da Collezionre di dicembre 2012

 

E’ Natale che albero!

Per il collezionista: Christmas Costume Jewellery. VINTAGE Nel mondo del costume jewellery, in questo periodo, le coloratissime spille a forma di albero di Natale sono un classico.

 

● di Domizia Dalia 

Il vintage, come si sa, è molto di moda, e nel periodo natalizio le vetrine dei negozi che trattano questo genere, espongono idee regalo molto originali dal manicotto di pelliccia alla luccicante borsa da sera, dagli stravaganti occhiali tempestati di brillantini alla bigiotteria più scintillante. Proprio nel mondo del costume jewellery, in questo periodo, le coloratissime spille a forma di albero di Natale sono un classico. Ogni appassionato del settore ne possiede almeno una; addirittura alcuni collezionisti hanno concentrato il proprio interesse esclusivamente su queste creazioni realizzate con estrema maestria e ideate ogni anno dai designer più originali.
Erika Zacchello, giovanissima collezionista ed esperta di bijoux, ci racconta la storia di queste spille, che dagli anni Quaranta molte signore statunitensi amano appuntare sul proprio cappotto.

Erika, il mondo del costume jewellery è molto vasto e da sempre affascina moltissime donne. Oggi, c’è un grande ritorno dei bijoux vintage e l’attenzione cade spesso su quelli americani, come mai?
La bigiotteria, in realtà, nasce nell’Europa del Settecento, epoca in cui i nobili commissionavano copie dei propri gioielli da portare in viaggio, per non correre rischi in caso di furto. Nell’Ottocento molti artigiani europei, tra cui moltissimi italiani, emigravano negli Stati Uniti d’America e qui, in particolare a Providence nel Rhode Island, con l’abilità orafa europea, la produzione di bigiotteria raggiunge livelli altissimi e riscuote un enorme successo.
Durante la Seconda Guerra Mondiale – poi – a causa del blocco dei flussi d’informazione, si sviluppa un gusto peculiare che contraddistingue e identifica i costume jewellery americani.

Spille a forma di albero di Natale Spille a forma di albero di Natale Spille a forma di albero di Natale Spille a forma di albero di Natale Spille a forma di albero di Natale Spille a forma di albero di Natale
Tra i numerosi modelli su cui le grandi firme si specializzarono, ci sono anche le spille con soggetti natalizi, e in modo particolare mi riferisco a quelle a forma di albero di Natale. Quando scoppia il boom di questi oggetti, e qual è la loro storia?
Le spille ad albero di Natale, come in generale le spille a soggetto natalizio, sono una tradizione della cultura statunitense. Dagli anni Quaranta diventano un must per tutte le donne americane che indossavano questi bijoux colorati non soltanto per manifestare la loro partecipazione al Natale, ma anche per dimostrare la loro appartenenza al gruppo dei fedeli protestanti. Erano considerati, perciò, oggetti dal forte valore simbolico e anche per questo collezionati da molti. 

I modelli cambiavano di anno in anno, ogni designer si sbizzarriva nei diversi accostamenti di materiali e colori. Un occhio esperto come il suo può riconoscere a prima vista la mano del creatore? Quali erano i principali produttori e in cosa si distinguevano?
Come le accennavo, la spilla a forma di albero di Natale diventa un oggetto da collezionare e, per i designer, una sfida per ottenere modelli sempre più originali e d’effetto.
Dal 1940 al 1960 tutte le grandi firme di costume jewellery presentavano ogni anno la propria versione di questo albero festoso, ideando centinaia di Christmas Tree Pins – come vengono chiamate dagli americani – con forme, tecniche e colori differenti. Tra le più celebri posso citare: le spille di Stanley Hagler, che inizia la sua carriera con Miriam Haskell per poi fondare la sua azienda negli anni Cinquanta, con pendenti in vetro di Murano e madreperla; quelle di colore ghiaccio di Eisenberg, così come quelle multicolore e stilizzate in bachelite di Lea Stain.
Da lasciare senza fiato sono anche le creazioni natalizie di Larry Vbra, il designer di Brodway, noto per i suoi gioielli grandi, scenici e opulenti, in grado di stupire sempre.
Assolutamente un must have la spilla di Natale Dodds, un marchio molto raro e ricercato tra i collezionisti di costume jewellery, poiché rimase in produzione solo per una decina di anni, tra il 1950 e il 1960. Non possiamo dimenticare le spille natalizie firmate Trifari e gli alberelli Pell degli anni Sessanta, rifatti ancora oggi con gli stampi originali e con gli stessi materiali dell’epoca. Infine, le spille firmate JJ ricche d’ironia e di colore.

È chiaro che gran parte dei collezionisti di questo settore è americana. In Italia ce ne sono o lei è uno dei pochi esempi?
In realtà in Italia non sono così pochi come apparentemente può sembrare. Esiste un micro mondo fatto di appassionati, alla ricerca costante di pezzi da raccogliere, tra cui anche me!
Navigando on-line, basta digitare le parole giuste, per trovare questo genere di spille di vario tipo e prezzo, come fare per scegliere quelle giuste? Le quotazioni variano molto, vanno da pochi a centinaia di euro, che cosa porta ad avere una differenza così elevata?
I prezzi variano molto nei diversi Paesi. Nel mercato americano, per esempio, le spille Trifari sono meno costose rispetto all’Italia. Ovviamente il prezzo è determinato sia dalla domanda sia dalla rarità del bijoux. Alcuni marchi hanno fabbricato su larga scala, altri – avendo una produzione pressoché artigianale – hanno lanciato sul mercato un minor numero di pezzi e sono, quindi, più rari. Tendenzialmente i più costosi sono i bijoux che già allora era difficile trovare perché prodotti in minore quantità. Come collezionista consiglio per l’acquisto, di scegliere non solo in base alle quotazioni, ma soprattutto in base al proprio gusto personale; non stiamo parlando, infatti, di oggetti con un valore intrinseco, come potrebbe essere un gioiello in oro e pietre preziose, ma di bigiotteria che acquista un valore nel momento in cui è amata e indossata. 

Quali sono i pezzi più rari da trovare?
Sicuramente sono le spille ad albero di Natale firmate Miriam Haskell, Stanley Hagler, Larry Vbra ed Eisenberg.

Oltre a collezionarle, esiste ancora oggi la tradizione di indossarle nel periodo natalizio?
Certo, la tradizione della spilla di Natale vive ancora oggi; dal mese di dicembre, girando per le strade di New York, non è raro vedere appuntate sul bavero della giacca di signore di ogni età queste deliziose creazioni.

 

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Big & bold: gli elettrizzanti gioielli di Liat Ginzburg

Quando mi sono imbattuta casualmente nei gioielli di questa designer israeliana sono rimasta letteralmente elettrizzata!

Collezione Drama

Big and bold ma non solo…colore allo stato puro. Sono le caratteristiche salienti di questi gioielli realizzati con i materiali non preziosi più disparati e rigorosamente vintage.
La designer di cui scrivo oggi è Liat Ginzburg ed il suo nome è ormai conosciuto tra i più noti trend setter, giornalisti e stilisti Israeliani. Ma non solo. Anche i più importanti magazine di moda come Harper’s Bazaar Spagna, Grazia Francia e Vogue Italia (che nei mesi di marzo ed aprile la segnala tra i designer emergenti più promettenti) parlano di lei.

Nelle collezioni della designer le più varie combinazioni di materiali come

Collezione Fluo

Collezione Technicolor

plastica, gomma, perspex e legno – recuperati nei mercatini del vintage, direttamente dagli anni ’70 ed ’80 – vengono riattualizzate e reinterpretate per raccontare la vita notturna di Tel Aviv, le emozioni evocate dall’arte e dall’intimo vissuto dell’artista.

Ed è cosi che i colori fluo si mischiano alle fiabe e al tribale, portandoci per mano in tanti mondi diversi: da quello afro della collezione AfriQueen, a quello dei colori più urlati della collezione Technicolor, passando attraverso il mondo incantato della nostra infazia con la collezione Toy Story che porta le ballerine del carillon e Biancaneve e i Sette Nani sui nostri corpi, strappandoci un sorriso.

Collezione Toy Story

I bijoux di Liat Ginzburg, proposti sempre in edizioni limitate, sono scenici ed ironicamente belli.
Sono gioielli grandi, perchè – per citare la designer – la vita è grande ma a lei piace che i suoi gioielli lo siano ancora di più!

Guardo questi bijoux e provo un fortissimo desiderio di indossarli.
Perchè?
Perchè li trovo coinvolgenti e passionali, senza via di mezzo: o li ami o li odi.

Attirano decisamente l’attenzione e trasmettono una gran voglia di vivere la vita.
Una vita “alla grande” e rigorosamente a colori!
E tu cosa ne pensi? Parliamone! Lascia il tuo commento qui sotto.

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Il Libro Il Bijou nel Sogno Americano, oggi su La Stampa

Cari tutti,

oggi vi segnalo un interessante articolo dedicato alla spilla e al suo ritorno alla ribalta grazie alla luce dei riflettori più glam. Il pezzo è scritto dalla giornalista Roselina Salemi, esperta di Moda e Tendenze, ed è pubblicato oggi 5 dicembre 2012 su La Stampa.

Nell’articolo si parla anche del mio libro “Il bijou nel sogno americano” consigliato a chi vuole approfondire il mondo del vintage e dell’accessorio più versatile dello scrigno dei gioielli: la spilla.

Trovate l’articolo a questo Link e nella sezione STAMPA del blog.

Aspetto un vostro commento!

 

Erika

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Lo stile Audrey Hepburn in un gioiello firmato Givenchy

Audrey Hepburn indossa un tubino firmato Givenchy. E' lei a lanciarne la moda sul set del film Colazione da Tiffany

Anno 1952, il designer Hubert de Givenchy fonda l’omonimo brand di moda.

Amatissimo dall’elegante Audrey Hepburn che decide di indossare durante le riprese del film Colazione da Tiffany il celebre tubino nero diventato poi, nel corso degli anni, il segno distintivo della maison Givenchy.
Un brand raffinato e di stile, in grado di creare l’immagine di una diva che trasmette quell’allure che ne ha creato il mito.
Negli anni ’60 non solo il tubino nero diventa un oggetto di culto ma, assieme ad esso, anche le perle che vengono utilizzate per creare collane, spille ed orecchini a clip.
La perla campagne, dal gusto elegante e principesco, è la perla prediletta da Givenchy che propone orecchini a lobo semplici ma di alto gusto.
Sempre per Audrey Hepburn, che spontanemente è diventata la testimonial del brand, Givenchy realizza il profumo L’interdit.
Negli stessi anni il designer lancia una linea di bijoux in grado di portare al di fuori della pellicola cinematografica e quindi nella vita reale, il fascino di immagini da sogno.
Sono gioielli lineari, mai esagerati, adatti ad un abito altrettanto lineare e sobrio. 

Orecchini con perle cabochon color champagne firmati Givenchy

Il colore prediletto del metallo è sicuramente il giallo che va a creare interessanti giochi di luce, ma non mancano gioielli in metallo bianco tempestati di strass. Peculiari della firma sono le catene, o cortissime aderenti al collo oppure lunghissime a chanel, con maglie larghe e nodi di dimensioni importanti.
E voi l’avete il vostro little black dress ed il votro gioiello firmato Givenchy per sentirvi una novella Audrey?

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La spilla a soggetto natalizio: l’Albero di Natale

Spilla ad Albero di Natale firmato JJ

Secondo la tradizione, l’Albero di Natale, vede la sua origine nel 1500 a Tallin, nel cuore di quelle che oggi sono le Repubbliche Baltiche.

Presto l’albero addobbato a festa diventa un simbolo protestante, molto sentito nella Germania luterana, ma presto anche nel resto d’Europa ed Oltreoceano.
Ed è proprio al di là dell’Oceano, negli Stati Uniti, che l’albero di Natale diventa, oltre che uno dei simboli ricorrenti per festeggiare la festa più sentita dell’anno, un gioiello da indossare.
A partire dagli anni ’40, la spilla a soggetto natalizio, diventa un must per tutte le donne americane.
Si tratta di un simbolo da indossare per manifestare la propria partecipazione ad una festa ma anche la propria appartenenza ad un gruppo, quello dei fedeli protestanti. Un gioiello che permette di esprimere una propria credenza ma che, allo stesso tempo, consente di riconoscersi l’un l’altra all’interno della comunità.
Presto la spilla a forma di albero diventa un oggetto da collezionare e, per i designer, una sfida alla personalizzazione sempre più originale e d’effetto.
Tutte le grandi firme della costume jewelry proporranno la propria visione di questo albero festoso.
Dagli anni ’40 agli anni ’60 vengono proposti ogni anno nuovi soggetti, con forme, tecniche e colori differenti (ma tutt’oggi, basti pensare che ogni anno Avon lancia una propria serie di alberelli-spilla di Natale, in edizione limitata da collezionare).
Sono celebri le spille di Stanley Hagler, che inizia la sua carriera con Miriam Haskell per poi fondare la sua azienda negli anno ’50 e che ci propone spille con pendenti in vetro di murano e madre perla; ma sono anche molto note le spille color ghiaccio di Eisenberg, così come quelle coloratissime e stilizzate in bachelite francese di Lea Stain, per avvicinarsi più a noi nel tempo.
Da lasciare senza fiato le creazioni natalizie di Larry Vbra, il designer di Brodway, noto per i suoi gioielli grandi, scenici ed opulenti, in grado di stupire sempre.
Assolutamente un must have la spilla di Natale Dodds, un marchio molto raro e ricercato tra i collezionisti di costume jewelry in quanto rimase in produzione solo per una decina di anni, tra gli anni ’50 e gli anni ’60.
Ma non possiamo dimenticare le classiche Trifari, gli alberelli Pell degli anni ’60 e riprodotti oggi con gli stampi originali e con gli stessi materiali dell’epoca.
Le spille firmate JJ ricche di ironia e di colore create da uno dei marchi americani più noti per le spille a soggetto.
Insomma, un albero di Natale da appuntare al bavero di una giacca non può mancare a nessuna donna nel periodo di Natale. La moda di questi fantasiosi oggetti è arrivata anche da noi tra coloro che amano i dettagli ed hanno un occhio attento per il vintage.
Hai voglia anche tu di una spilla di Natale?

Guarda qui!

 

E.Z.

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Gioielli in fibra di carbonio: l’altro volto del diamante

Il carbonio ed il diamante, due facce delle stesso elemento

Guardare al futuro a volte significa solamente tornare alle origini riscoprendo e reinterpretando. Partire dalla pietra più preziosa in assoluto, il diamante, e fare un passo indietro sino a raggiungere la sua essenza ancestrale: il carbonio.

Reinterpretare l’elemento chimico, forgiarlo e plasmarlo a propria immagine, un po’ come la natura ha fatto con il diamante e sentirsi creatori di materia, producendo forme essenziali, pulite ma potenti.

Airam è un po’ questo oltre che una giovane azienda nata nel territorio torinese, fucina di idee, in cui i fondatori razionalizzano le proprie intuizioni trasformandole in un’impresa.

Fabio Ramella e Carlo Pozzi, fondatori di Airam

Trasformare le passioni in un mestiere, l’arma vincente in un periodo in cui fare business per il solo scopo di guadagnare senza passione, non paga più. La passione per lo sky dive, porta Fabio Ramella e Carlo Pozzi realizzare, nel 1990, particolari in fibra di carbonio per le riprese video aeree.

E poi, da questa ricerca su materie prime di alta qualità, nasce la collezione di bracciali in carbonio e di cinture che sarà seguita da accessori sempre diversi quali piastrine, anelli e fibbie.

Piastrina in carbonio con finitura Python

Ma come nasce il bracciale in fibra di carbonio ideato da Fabio e Carlo?

Il procedimento utilizzato da Airam è un procedimento segreto e le sue fasi, nel dettaglio, non sono note, questo per proteggere una produzione che rischia di subire la copia. Mi è stato spiegato che la realizzazione avviene attraverso la sovrapposizione di 14 strati di fibra di carbonio, precedentemente impregnati di una particolare resina che è stata in precedenza accuratamente testata per evitare ogni tipo di reazione allergica al prodotto. Successivamente viene eliminata la resina in eccesso, attraverso una lavorazione manuale, che permette alla lucentezza del carbonio di essere visibile senza che si rendano necessarie verniciature; infatti tutti gli altri prodotti in fibra di carbonio vengono di norma verniciati ma questa operazione rende la superficie estremamente fragile agli urti e non permette alla fibra di essere visibile nella sua reale lucentezza.

Bracciali in fibra di carbonio nelle due texture proposte: (da sinistra verso destra) Silk e Python

In questo dettaglio sta l’originalità di Airam, la capacità di rendere la fibra di carbonio un qualcosa di desiderabile da indossare. Quando la vedi ti colpisce perché è leggera, liscia come la seta al tatto, lineare e con carattere.

Nel 2009 Airam incontra il designer Roberto Demeglio ed è così che, a sua volta, il diamante rincontra il carbonio regalandoci un gioiello premiato per il design con l’Oscar del Gioiello dalla Fiera di Las Vegas, Couture. Il virtuosismo dell’idea vuole uniti il platino con il diamante ed il carbonio che, una volta assemblati, ci donano il volto selvaggio di una Zebra.

Un gioiello che stupisce per la sua capacità evocativa, non solo dell’oggetto in sé, ma della scelta stessa dei materiali. E’ come se, il diamante, rincontrasse se stesso secoli prima, quando ancora non era gioco di luce.

Bracciale Zebra firmato Roberto Demeglio in platino e diamanti, realizzato su fibra di carbonio. Vincitore dell'Oscar del Gioiello 2009

Due realtà, quella giovane e aggressiva di Airam e quella lussuosa ed innovativa di Roberto Demeglio, che si incontrano e danno al pubblico un oggetto d’arte innovativo che ha ragion di esistere anche se non esistesse un mercato per acquistarlo.

Sarà questo il futuro del gioiello? In un mondo dove tutto è stato detto e dove il classico è già stato reinterpretato, forse non resta che unire più punti di vista per creare qualcosa di realmente nuovo.

E.Z.

 

Per approfondimenti e per acquisti on line: airam.it

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Gli anni Quaranta, tra moda e gioiello

Quella degli anni Quaranta è la decade del secondo grande conflitto mondiale prima della ricostruzione.

Nella prima metà del decennio la realtà della propaganda degli USA serve per diffondere il senso di necessità di sforzo economico in favore dell’impresa bellica. Fiorisce una vasta pubblicistica di pin up, le cui immagini dovevano servire a sollevare il morale dei giovani militari.

immagine di pin upSi diffondono i gioielli patriottici che erano indossati da chi voleva augurare ai soldati buona fortuna. A causa di un decreto presidenziale che vietava l’uso di materiali utili a scopi bellici, erano fatti con materiali facilmente reperibili e più disparati come rafia, legno, resine e, per la produzione più raffinata, sterling, ovvero argento 925.

Sarà in questo decennio che la creatività dei disengatori americani regalerà i bijoux più originali.

Negli anni della guerra l’impossibilità di importare da Parigi, allora Nazione della moda, modelli di abiti e gioielli, darà l’impulso alla creatività dei disegnatori americani, anche se il razionamento dei tessuti farà si che gli abiti femminili siano molto simili all’abbigliamento militare: gonne dritte e sotto il ginocchio, giacche corte, borse a cartella.

In Italia, per quanto riguarda gli abiti, ci sarà in continuazione il tentativo di appropriarsi di bozzetti parigini, in quanto le donne non accetteranno mai di non vestire alla francese, pratica sanzionata dal regime che inizierà a porre un marchio di qualità sugli abiti che devono rispecchiare lo stile fascita.

In questo periodo diversi creatori cercano rifugio negli Stati Uniti e molti di loro riprenderanno la produzione dopo la guerra.

Nel 1946 si inizia a fare sistematicamente pubblicità su autorevoli riviste del settore come Vogue.

Nel 1947 nasce il new look di Christian Dior (caratterizzato da lunghe gonne con larghe crinoline, tacchi alti e spalle

new look di christian dior

Christian Dior e il suo new look

imbottite) che crea grande shock nella moda ma anche nella società, tanto da non essere inizialmente gradito e accettato.

Dopo il grigiore degli anni ’40 c’è la voglia di colore. Con la fine della guerra le tecniche e i materiali dell’industria bellica vengono usati per produrre anche accessori per la casa (vinile, formica ecc…). La nascita delle stoffe nuove e la più diffusa possibilità di avere una lavatrice, permettono a quasi tutti di avere vestiti puliti.

E’ il decennio del rock ‘n roll, dei blue jeans e della Barbie.

Il cambio della moda rende necessari nuovi modelli di bijoux, che ora non solo sono socialmente accettati ma diventano un accessorio chic, tanto da essere scelti da Mamie Eisenhower che, nel 1953 per il ballo di inaugurazione della presidenza del marito, commissionò a Trifari la creazione di una parure da abbinare al suo vestito.

anello cocktail vintageGrazie alle migliorate condizioni economiche diventa possibile invitare amici e conoscenti a cena o per il cocktail, cogliendo così l’occasione per indossare su semplici vestiti neri, appariscenti gioielli, soprattutto anelli, detti appunto anelli cocktail.

Un gioiello dall’indiscusso fascino oggi tornato di gran moda come lo stile degli anni Quaranta!

E.Z.

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Intervista a Paolo Zani: un cuore che batte per la storia di Casalmaggiore

Cari amici,

alcune settimane fa, annunciandovi la presentazione del mio libro, ho avuto l’occasione di parlarvi del Museo del Bijou di Casalmaggiore. Avendo ricevuto diverse email in cui mi sono state richieste alcune informazioni in più relativamente a questa realtà, ho deciso di intervistare Paolo Zani, il pesidente dell’associazione Amici del Museo del Bijou di Casalmaggiore, al fine di poter soddisfare la vostra curiosità e il vostro interesse.

Intanto ringrazio Paolo Zani per questa interessante intervista, ricca di informazioni e di curiosità, e vi auguro una buona lettura!

Erika


D: Dott. Zani, in veste di presidente dell’associazione, può raccontarci quando, come nasce e di cosa si occupa l’Associazione amici del museo del bijou di Casalmaggiore?

L’Associazione “Amici del Museo del bijou di Casalmaggiore” nasce per felice intuizione del suo fondatore, dr. Francesco Zaffanella, il sette novembre 1986 con atto notarile. I soci fondatori furono nove.
L’Associazione, come recita l’atto fondativo, senza finalità di lucro si propone di perseguire diversi scopi, tra cui raccogliere e valorizzare oggetti di oreficeria in metallo non prezioso, medaglie, occhiali, monili vari ecc., materiale fotografico e documentale, macchinari ed attrezzi da lavoro provenienti da industrie locali e non locali produttrici di questi oggetti; promuovere attività di carattere culturale ed informativo al fine di contribuire alla ricerca scientifica, storica ed artistica nei diversi settori di competenza del Museo; adottare iniziative di carattere didattico per creare le condizioni favorevoli alla rinascita dell’industria orafa nel Comune di Casalmaggiore.

D: Può raccontarci qualche aneddoto sulla nascita del museo del bijou?
Il Museo, come spesso accade, nasce del tutto casualmente. Bisogna precisare che l’azienda, la F.I.R.,  che produsse per parecchi decenni bigiotteria, esiste ancora oggi nonostante abbia diversificato e abbandonato questo tipo di produzione.
Nei primissimi anni ’80 del secolo scorso, alcuni operai ancora dipendenti della F.I.R. che avevano lavorato anche alla produzione di bigiotteria, vengono a conoscenza del fatto che l’azienda, dovendo recuperare degli spazi inutilizzati e adibiti a temporaneo deposito dei “vecchi” campionari del bijou, intende disfarsi del materiale rimasto vendendo il tutto, per pochi spiccioli,  ad un rigattiere di  Parma.
La sensibilità di questi due operai, Miro Lanzoni e Giovanni Moreschi, che avevano intuito la grave perdita per tutta la comunità di Casalmaggiore,  fece sì che della cosa venissi a conoscenza io direttamente; allora ero sindacalista nella zona casalasca e seguivo le vicende di quest’azienda.
Una sera vedo arrivare nel mio ufficio Miro e Giovanni che, un po’ agitati, mi informano delle intenzioni dell’azienda  e mi chiedono se sia possibile fare qualcosa.
Immediatamente presi contatto con l’allora Sindaco, Antonio Gardani anch’egli ex dipendente F.I.R. e persona sensibile alla storia locale che, informato del fatto, si mise in contatto con l’amministratore delegato dell’azienda, Carlo Bergamaschi, per bloccare l’operazione.
Nei giorni seguenti  tutto il materiale veniva ceduto al Comune di Casalmaggiore con l’impegno di liberare al più presto i locali dove il materiale era immagazzinato.
Fisicamente,  siamo andati personalmente a ritirare il tutto, non dico in che condizioni era il materiale, e l’abbiamo portato in un’aula dell’ex liceo che ci era stata messa a disposizione dal Sindaco.

Un'immagine del "Fabbricone"

A questo punto veniva il bello! che fare?
La prima idea fu quella di ordinare e conservare la raccolta ma, con il passare del tempo, acquisite diverse macchine, attrezzi da lavoro, stampi e documenti, si passò a progettare non una semplice raccolta o museo aziendale ma un museo archeologico – industriale anche se di limitate dimensioni ed estremamente specializzato.
Mi piace qui ricordare la figura del compianto dr. Zaffanella che con metodo, pazienza e precisione passò dall’idea al progetto.

D: In che modo si passò dall’idea al progetto?
Innanzitutto prendendo contatti con il prof. Sergio Coradeschi del Politecnico di Milano che una volta visionato il materiale ci incoraggiò a continuare nell’impresa, poi tenendo contatti con il settore musei della Regione Lombardia nella persona del dr. Alberto Garlandini che, di fatto, intuendo l’importanza dell’iniziativa, ci legittimò.
A questo punto avuta “la benedizione” dei tecnici e dei “politici” si trattava di partire concretamente.
L’amministrazione comunale deliberò la costituzione del Museo del Bijou di Casalmaggiore e all’Associazione toccò di fatto l’onore e l’onere di realizzarlo.
C’era da inventare tutto: dalla pulizia degli oggetti, dal colore delle cartelle sulle quali collocarli,  dal restauro delle macchine e qui mi viene in mente una accesa discussione sul come riverniciare le macchine.
Si trattava di decidere se utilizzare il “grigio” piuttosto che il “verde” macchina, perché abbiamo scoperto che ogni epoca aveva il suo colore di adozione…e poi, la vernice, doveva essere “liscia” o “martellata”? Le macchine andavano restaurate di tutto punto o lasciate con i segni dell’usura e del tempo?
Ovviamente senza l’aiuto di nessuno perché, al proposito, le scuole di pensiero si sprecavano.
Non posso, qui,  dimenticare anche  l’importanza del lavoro di due ex operarie della F.I.R., due sorelle dai nomi vagamente da “romanzo d’appendice”, Sebastiana ed Artemisia che fisicamente si assunsero l’onere di riportare su cartelle nuove tutto il materiale, da loro stesse, debitamente ripulito.
La cosa curiosa è che, queste due splendide signore, avendo lavorato nel settore campionatura della F.I.R. ricordavano ancora la disposizione degli oggetti ed anche la loro presunta datazione e quindi riuscirono a ricostruire, nella gran parte dei casi,  le cartelle così come erano originariamente.
Nel 1989 si realizzò la prima uscita pubblica con la mostra ” Il Museo del bijou di Casalmaggiore -Dall’idea al progetto”, una mostra in cui si presentava l’iniziativa ed alcuni oggetti, macchine restaurate e strumenti di lavoro oltre a documentazione cartacea e fotografica d’archivio.
Fu un enorme successo perché, c’è da dire, che la produzione di bijoux interessò la nostra comunità per più di settant’anni e nei tempi d’oro occupò fino a 600 dipendenti. Si può dire  che non ci fu una sola famiglia di Casalmaggiore che non fosse direttamente o per indotto interessata alla produzione di bijoux.

Spille a fiore esposte al Museo del Bijou di Casalmaggiore

Spille a fiore esposte al Museo del Bijou di Casalmaggiore

Si può tranquillamente affermare che il  “Fabbricone”, come confidenzialmente viene ancor oggi definita la fabbrica, ha rappresentato per anni una delle poche risorse del territorio.
La cosa veramente bella e curiosa era vedere anziani ex operai ed operaie,  davanti ad una gigantografia che riproduceva le maestranze negli anni ’30, riconoscersi e riconoscere vecchi compagni di lavoro: quanti commenti, quanti ricordi, quanti pettegolezzi ormai destinati all’oblio.
Capimmo subito che noi e l’Amministrazione comunale avevamo visto giusto: l’idea del Museo  era piaciuta perché fortemente radicata nel territorio.
Sulla scorta di questa iniziativa si riuscì a recuperare altro materiale, anche da privati,  per l’allestimento del Museo.
Anche ditte esterne ci fecero dono dei loro campionari, di macchine e di strumenti da lavoro.

D: Nel suo racconto si sente molta partecipazione e passione. Come si diventa soci dell’associazione qualora si volesse condividere con voi tutto questo?
Molto semplicemente facendo una richiesta o dimostrando l’interesse concreto alle nostre iniziative.

D: Quali iniziative sono state promosse e portate avanti dall’associazione?
Innanzitutto il recupero e la valorizzazione del materiale museale e poi la sua catalogazione fotografica mediante foto con negativi di alta qualità visto che allora non c’era ancora la tecnologia digitale, per poter permettere agli studiosi di consultare tutto il materiale comodamente. I pezzi singoli conservati nel museo sono più di ventimila quindi non facilmente accessibili.
Poi la realizzazione del Museo: il sogno si è realizzato con l’inaugurazione avvenuta nel 1996.
L’Amministrazione comunale nell’ambito della realizzazione della nuova biblioteca individuò uno spazio nei seminterrati del collegio ex Barnabiti che fu destinato alla sede museale.
Da allora l’Associazione si è spesa per sostenere il Museo e per dare nuove idee ed iniziative per il suo sviluppo.
Abbiamo pensato che fosse opportuno individuare dei settori specifici nel materiale a nostra disposizione per fare delle mostre temporanee a tema fisso corredate da pubblicazioni tematiche: questo per poter realizzare nel tempo una sorta di “raccolta” a dispense di tutto il materiale diviso per aree tematiche.

Foto presente nella mostra fotografica sui 25 anni di storia del Museo del Bijou

Per ora abbiamo già concretizzato due temi, “Il sacro indosso”, utilizzando parte del materiale religioso prodotto si è realizzata una mostra tematica con relativa pubblicazione.
Bisogna sapere che negli anni d’oro la produzione di materiale religioso rappresentò una parte cospicua della produzione di bijoux; potrei tranquillamente affermare che in quegli anni (’30 e ’40) non ci fu Santuario nel mondo che non vendesse materiale prodotto a Casalmaggiore!
E poi “La fabbrica dell’oro matto”, un’interessante mostra sulle macchine utilizzate per la produzione di bijoux. La pubblicazione che analizza le varie funzionalità e utilizzo delle macchine  è stata realizzato con il contributo del Cesa (Centro per la storia dell’Ateneo) del Politecnico di Milano.

D: Quali sono i progetti sui quali l’associazine sta lavorando?
L’associazione, ultimamente, ha vissuto un brutto momento: infatti nell’agosto 2010 ci ha lasciato il suo fondatore e Presidente da sempre, il dr. Francesco Zaffanella.
Ma, nel suo ricordo,  e per non lasciare cadere nel nulla l’Associazione nella quale aveva tanto creduto e aveva speso gran parte delle sue energie ci siamo rimboccati le maniche.
Recentemente abbiamo realizzato una mostra fotografica per festeggiare i 25 anni di fondazione dell’Associazione nella quale con 70 immagini ripercorriamo tutta la storia di questi nostri primi 25 anni.
Quanti ricordi, quanta nostalgia nel riscoprire l’entusiasmo che ci ha animato e che speriamo ci animi ancora per il futuro.
Grazie ad un rinnovato spirito di collaborazione con l’attuale Amministrazione comunale, l’Associazione sta ritrovando il suo ruolo e nuovo slancio per il futuro.
Per l’immediato abbiamo in cantiere  una mostra monografica su Paride Bini un insigne incisore, da anni scomparso,  che ha lasciato parecchio materiale sulle sue varie abilità artistiche nel campo specifico del bijou.
Vorremo realizzare un “mercatino del bijou” invitando operatori qualificati nel vintage e bijou d’epoca da tenersi due, tre volte all’anno negli spazi adiacenti al Museo.
Siamo intenzionati anche a proseguire nell’assistenza ai visitatori del Museo soprattutto per quanto riguarda l’attività didattica rivolta agli alunni delle scuole: questo è un campo di intervento molto felicemente sostenuto sia dall’attuale conservatore del Museo, Dott.ssa. Letizia Frigerio, sia dall’Assessorato alla cultura poichè hanno intuito che il Museo non può ridursi ad una mera esposizione di oggetti ma deve trovare nuovo impulso in attività “non tradizionali”.
Il lavoro non ci manca, l’entusiasmo neanche, speriamo di essere ancora utili al nostro caro Museo del Bijou di Casalmaggiore!

 

Un grazie sincero a Paolo Zani per questa intervista.

Per approfondimenti sul Museo del Bijou visitate il sito ufficiale .

Qui di seguito potete visionare un’intervista rilasciata da Paolo Zani per il TGR Prodotto Italia.

 

Erika Zacchello

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